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Le calve

L’immagine di donna, bella ed elegante, ma calva, realizzata da Maria Pia Michieletto, mi colpisce. Mi rimanda alla celebre commedia dell’assurdo La Cantatrice Calva di Eugène Ionesco. All’interno di questa commedia, la cantatrice è un personaggio non personaggio che aleggia misterioso, evocato da uno dei protagonisti, il pompiere, il quale uscendo di scena esclama: «A proposito, e la cantatrice calva?». La risposta che dà la signora Smith è un enigma: «Si pettina sempre allo stesso modo!». È indubbio che la funzione dell’assenza-presenza della cantatrice calva è quella di evocare un’immagine fuori dagli schemi. Ecco, le donne calve di Maria Pia Michieletto sono fuori dagli schemi ma, a differenza della cantatrice di Ionesco, potrebbero essere reali, come reali sono le tante donne che la malattia porta alla calvizie.

Ma perché dare tanta importanza ai capelli?
È risposta superficiale quella di dire che sono un elemento meramente estetico, soprattutto in relazione alla donna. L’antropologia ci offre ben più ampie ed articolate motivazioni che, dall’Estremo Oriente alle Americhe, sono presenti in quasi tutte le culture e da tempo immemorabile.
Per molti popoli i capelli sono segno di virtù: il caso più emblematico lo offre il biblico Sansone, nella cui chioma si racchiudeva tutta la sua forza e la sua virilità. Sono indicazione identitaria della persona, tant’è che quelli dei Santi sono venerati come reliquie. E, proprio perché sono parte integrante della persona, vengono utilizzati nelle fatture. In Cina la rasatura equivaleva quasi alla castrazione, alludendo alla perdita della propria identità. Ed è con la stessa ottica che va considerata la rasatura dei monaci che, con questo atto volontario, si disponevano a diventare strumenti nelle mani dell’Altissimo. Imporre il taglio dei capelli o la modifica dell’acconciatura equivaleva a sottomettere la persona a cui venivano imposti, ed il caso più celebre è stato quello dei Manciù che, nel 1600, obbligarono i cinesi da loro conquistati ad adottare il codino, tipica acconciatura della Manciuria, come segno di sottomissione e di accettazione del loro governo. Non tagliarsi i capelli è segno di lutto presso molti popoli, compresa la Nuova Guinea, ma è anche segno di voto. Per la donna hanno poi molteplici significati, che variano a seconda se i capelli sono sciolti o annodati e se sono coperti o lasciati liberi, nei vari casi indicano lo stato sociale e la sua disponibilità o meno. Nel Medioevo cristiano uomini e donne si rasavano per penitenza.

Anche se oggi la maggior parte di questa simbologia è andata perduta, tuttavia permane l’idea che i capelli siano comunque parte integrante della personalità, e il non averli rappresenti una menomazione.
Le donne lo sanno, lo sanno sulla loro pelle, quando d’improvviso vedono intere ciocche di capelli materializzarsi davanti a loro nell’atto di pettinarsi. E una ciocca via l’altra i capelli non ci sono più. Torneranno? È la domanda alla quale la scienza risponde sì ma difronte alla quale il cuore si smarrisce. Come affrontare il problema? Le donne di Maria Pia Michieletto ci offrono la risposta, articolandola in vari punti: accettazione di sé; non ridurre la propria personalità ai soli capelli; la donna è donna anche senza capelli, anzi forse la consapevolezza di questa “ferita” la rafforza. Il soggetto-protagonista è “prima” di tutto una donna. L’artista ha dedicato a loro dei pastelli su carta, tutti della stessa dimensione, a sottolineare l’unitarietà del problema: sono calve.

Eccole le donne di Maria Pia, eleganti, altere, tutte con una personalità spiccata che certo non viene meno per un “incidente di percorso”. L’artista ha scelto donne diversissime tra loro, ma indubbiamente tutte dalla forte personalità, spesso fuori dagli schemi. Molte sono donne “vere” vissute in varie epoche, che esprimono una grande vitalità e che, anche se protagoniste di una vita non sempre edificante, presentano delle positività esemplari. In questo universo di eccellenze la Michieletto è comunque consapevole dell’inevitabilità del male e lo individua in Lilith, demone delle tempeste e della notte, per gli Ebrei la prima moglie di Adamo, che assume qui le fattezze di Claretta Petacci, che ebbe un ruolo decisivo soprattutto nell’ultima fase del Fascismo. Si tratta di “ritratti” veri e di invenzione, e tra questi ultimi vanno collocate Eva la prima madre, l’Amazzone Capitolina prototipo della donna guerriera, Cleopatra espressione del potere politico, divinità pagane e Sante fino a Wonder Woman. E si aggiungono personaggi della letteratura, dive del cinema, soubrette, stiliste… Coco Chanel ha i capelli, ma dai particolari si deduce trattarsi di parrucca: una donna raffinata come lei, immersa nello spirito dell’eleganza, non consente che la si incontri meno che perfetta. Attira l’attenzione Santa Maria Maddalena, che è raffigurata con un lato del capo calvo e l’altro ornato di una ricca capigliatura, ad indicare l’elemento che ne contraddistingue l’iconografia che, qualora fosse stato completamente eliminato, ne avrebbe alterato l’essenza. Un’altra Santa colpisce, Sant’Agata, che la tradizione vuole martirizzata con il taglio dei seni, che qui invece l’artista colloca fiorenti sul busto, con allusione alla tradizione del miracoloso intervento riparatore ad opera di San Pietro. Non poteva mancare la Vergine Maria, la “benedetta” tra le donne, che è l’unica non calva ma che nasconde quasi tutta la sua capigliatura sotto il velo, secondo una tradizione antichissima che vuole la donna velata. In ultimo c’è il “doppio-autoritratto” dell’artista che, seguendo l’esempio di Ernst Ludwig Kirchner e Giorgio de Chirico, offre così una visione articolata del proprio sé.
Grazie Maria Pia, grazie per aver indicato a tante donne, afflitte da una patologia devastante ma, fortunatamente, d’ultimo curabile, la giusta strada da seguire: siate voi e non la vostra malattia.
dal catalogo della mostra “PRIMAdonne”
Roma, 2021
Il colore al centro della speculazione

Michieletto è una pittrice che da sempre ha guardato alla natura, sia essa vegetale, animale – uomo compreso - e minerale. Anche le sue rarissime divagazioni “astratte” sono sempre state esemplificazioni visive di un concetto. La riflessione è una costante della sua ricerca, nulla è “immediato” e ogni segno e ogni colore è la conseguenza di una lunga fase meditativa. Il risultato sono forme che tendono all’essenziale, per l’eliminazione degli elementi di interferenza transitoria. Anche i suoi volti rimandano ai lineamenti puri tipici della medaglistica.

È soprattutto il colore al centro della sua speculazione. Lo studio delle teorie del colore l’hanno infatti guidata verso un processo pittorico che ha definito “Iconocromìe”©. Ella stessa afferma «La Realtà si squaderna anche attraverso il colore, sentito non come elemento esterno, ma come sostanza emozionale riflettente la realtà interiore: il colore risuona, attraverso l’occhio, in organi interiori.»

Nella sua vasta produzione ci soffermiamo sugli elementi naturalistici legati a terra, aria e acqua, particolarmente presenti nell’operato degli ultimi vent’anni e legati a tre principali cicli di ricerca, caratterizzati ognuno da una tecnica pittorica diversa: acquerello, pastello e acrilico.

L’acquarello, affrontato nell’ultimo scorcio del millenovecento, è culminato col ciclo “Colori nel cielo”. Il secondo approfondimento, sul pastello, avvenuto nel primo decennio del secolo, e si è coronato nel ciclo “Colori primordiali”. Infine la ricerca odierna, sull’acrilico, è portata avanti nel ciclo “Terre primordiali”. In ogni caso, come dichiara l’artista, si tratta di: «luoghi interiori – forse esistenti – ma mai visti e tuttavia fortemente ricercati come anelito di purezza e innocenza».

La visione della Michieletto, pur nell’indubbia concezione naturalistica, tende alla sintesi della forma in una sorta di Metafisica del naturale che invita l’osservatore a soffermarsi sui singoli aspetti della natura. Non una visione impressionistica e fugace, legata all’istante passeggero, ma una visione “stabile” che invita alla riflessione. E se la visione “stabile” è facilmente comprensibile per le opere che hanno per soggetto la terra, meno comprensibile, ma non per questo meno valida, è per gli elementi mobili, quali l’aria e l’acqua, essendo la mobilità stessa parametro di riflessione.

Le opere selezionate per la mostra “terra, acqua, aria” invitano l’osservatore a soffermarsi sui mille giochi delle nuvole, sui tremolii e gli incanti dell’acqua e sul ruolo della terra come madre di frutti, generosa nell’alimentare l’umanità. E l’arte assolve ancora una volta il ruolo che le è proprio: porre in risalto la bellezza della Natura valorizzandone la funzione arricchente e consolatoria.
dal catalogo della mostra “Michieletto. Terra Aria Acqua”
Roma, 2018

Dalla luce all’ombra, dall’ombra alla luce

La pittura di Michieletto è una pittura di sentimento e di ricerca insieme che recupera all’arte finalità scientifiche e spiritualistiche, assai rare in questo secolo. La sua è una pittura da “meditare”, essendovi implicito un sentimento della scienza quale fu quello che caratterizzò il Rinascimento e, in particolare, Leonardo da Vinci. Ed anche con l’aiuto del Trattato della pittura di Leonardo, mi proverò a chiarire l’articolata meditazione sottesa alle opere dell’artista romana.

Michieletto da anni si dedica allo studio del colore sottolineandone i valori simbolici, poetici, spirituali e terapeutici. Ha inizialmente seguito l’antroposofia di Rudolf Steiner, quella “via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo”, da cui è partita per una ricerca sul colore come medium significante. Già il ciclo di opere presentato al pubblico con il titolo di “embrioni”, proponeva un personale uso del colore come idea invasiva in un ampio campo semantico.

Successivi approfondimenti, e soprattutto la lettura e la meditazione di testi quali La storia dei colori e La teoria dei colori di Johan Wolfgang Goethe, hanno condotto l’artista ad ulteriori riflessioni e ad un uso significante dell’elemento cromatico. In prima istanza ne emerge una visione vitalistica del colore, concepito come elemento vivente in grado di agire e, soprattutto, di interagire. Il colore, pertanto, si sostituisce e al “personaggio” storico e al “personaggio” mitologico, divenendo simbolo universale al di sopra delle culture particolari. I personaggi-colori, simboli di volta in volta, delle forze disgreganti ed aggreganti della natura, del “buono” e del “cattivo”, del femminile e del maschile, del positivo e del negativo, vivono una loro vita autonoma fatta di incontri e di scontri, di relazioni e di prevaricazioni. Predomina comunque un uso vivo del colore. Salvo, infatti, i casi in cui dichiaratamente vuole ottenere un effetto “cristallino” fisso, l’artista “muove” il colore così da renderlo vitale, proprio come lo sono il mare e il cielo e il fuoco che cambiano continuamente col variare delle ore, delle stagioni e delle condizioni.

Queste composizioni “colorate”, anche se ad un primo impatto potrebbero sembrare “astratte”, “aniconiche” e talora perfino “gestuali”, sono in realtà frutto di una analisi lunga e meditata sulle articolate significanze dei colori stessi. Lo studio parte dalla “qualità” dei colori primari e secondari, dalla loro relazione e dalla loro prossimità alla luce-bianco e/o all’ombra-nero. “Se vuoi fare che la vicinità di un colore dia grazia all’altro che con quello confina, usa quella regola che si vede fare ai raggi del sole nella composizione dell’arco celeste, per altro nome iris… Ora attendi, che se tu vuoi fare un’eccellente oscurità, dàlle per paragone un’eccellente bianchezza”. Ma poiché l’ombra e la luce sono anche immagini del negativo e del positivo, ecco che il colore si carica di molteplici valenze. Il discorso sul colore, trascendendo, per la Michieletto, il connotato fisico si fa metafora della vita. L’artista ha dunque realizzato un ciclo di acquerelli in sequenza nel quale i colori si confrontano e si affrontano per giungere alle due opposte polarità di luce e ombra, da intendersi dunque anche sotto il profilo etico. Il “cammino” di ciascun colore, oltre ad avere uno svolgimento dal bianco al nero, ha un suo valore specifico ed una relazione reciproca con gli altri colori. Già Leonardo osservava: “…L’azzurro è composto di luce e di tenebre, come è quello dell’aria, cioè nero perfettissimo e bianco candidissimo” ed ancora “I colori che si convergono insieme sono il verde col rosso…”. Leonardo già perfettamente conosceva la teoria dei complementari, che tanta applicazione pratica ha avuto nella pittura degli Impressionisti, quella teoria che sottolinea come un colore primario si esalti con il complementare formato dai restanti primari fusi insieme, così che il rosso si esalta col verde (giallo+blu), il giallo si esalta col viola (rosso+blu), il blu si esalta coll’arancio (rosso+giallo), mentre la fusione dei complementari genera un colore “sporco” che è il marrone. Ma tutta l‘opera di Michieletto, al di là della fruizione dei colori come fattori visivi, si sofferma sull’uso simbolico degli stessi, accogliendo, tra l’altro uno degli assiomi della ricerca di Goethe: i colori non sono cose della natura ma della mente.

dal catalogo della mostra “Michieletto. Iconocromie”
Roma, 1999

Urgenza al femminile

Nelle opere ‘embrioni’ di Maria Pia Michieletto sembrano confluire varie anime dell’astrattismo. Osservazione che proverò a contestualizzare.

L’astrattismo non è un movimento, ma è un modo aniconico di concepire l’immagine che ha risoluzioni completamente difformi tra di loro. Si va, ad esempio, dall’astrattismo geometrico di Mondrian a quello onirico di Klee, con infinite varianti intermedie. Partendo dalle sollecitazioni che hanno prodotto l’invenzione del microscopio e la conseguente analisi al microscopio dei tessuti e della realtà, lo studio sulla materia ha indotto a formulare l’osservazione filosofica che questo tavolo è sì un qualcosa di rigido e di duro ma, nello stesso tempo, è fatto di neutroni e di elettroni, pertanto dentro il tavolo c’è tutta una vita, un movimento percepibile al microscopio. Ciò ha fatto sì che l’artista cogliesse, in tale processo, non un’indicazione puramente scientifica ma il dato onirico, sollecitante, fantastico. Tutto questo sub-strato scientifico è andato a scardinare nella sua essenza quella che è l’immagine compatta per dare luogo a tutto un proliferare estremamente vario e complesso di fare arte, secondo modi, suggestioni e indicazioni diverse, che con un’etichetta vaga e generica, però abbastanza significativa e chiara nel suo complesso, va sotto la forma di arte astratta.

Ora, se mai volessimo percorrere a ritroso questo cammino, è chiaro che potremmo vedere in certe soluzioni di Michieletto, da un lato, sicuramente dei suggerimenti di Klee, il quale non rinuncia mai completamente a un riferimento alla figurazione. Pensiamo alle sue opere in cui si intravvedono per esempio delle vele o strane figure o casette. Sempre perché questo minimo aggancio all’immagine realistica aiuta colui che osserva il dipinto a crearsi una sua suggestione.

Oppure abbiamo delle opere assolutamente liriche e musicali, come sono quelle di Kandinsky, che elimina completamente un qualsiasi riferimento naturalistico per lasciare spazio solamente al colore e alla linea estremamente libera e quindi completamente fluida nella composizione, per suggerire soltanto sensazioni, stati d’animo, musica appunto. La pittura di Kandinsky è ciò che è più vicino sicuramente all’espressione musicale.
Entrambi questi filoni sono presenti in ‘embrioni’. Ma questa è una prima osservazione, un’osservazione iniziale che fa parte, possiamo dire, del complesso di quella che è la storia dell’arte. Pertanto l’astrazione è il riferimento specifico al quale Michieletto può essere ricollegata nel momento in cui ha realizzato queste opere.

Però in lei è emersa anche un’altra urgenza: cercare di realizzare delle immagini al femminile. Io non posso dire che lei sia riuscita ad oggettivarla completamente nelle sue opere, ma questa urgenza c’è e si percepisce ed proverò ad analizzarla, anche perché mi coinvolge nello specifico. Questa urgenza è esplicitata già nel titolo di questa mostra: ‘embrioni’, l’inizio di un qualcosa. Come donna mi pongo anch’io gli stessi problemi che si pone l’artista. E quali sono questi problemi? Da cosa nascono? Nascono dal fatto che noi abbiamo alle spalle una cultura che è una cultura maschile a cominciare appunto proprio dalle arti figurative.Ma tutta l‘opera di Michieletto, al di là della fruizione dei colori come fattori visivi, si sofferma sull’uso simbolico degli stessi, accogliendo, tra l’altro uno degli assiomi della ricerca di Goethe: i colori non sono cose della natura ma della mente.

I due esempi che ho citato, Kandinsky e Klee, sono degli uomini. Per carità non sto facendo qui del femminismo o del maschilismo, sto soltanto facendo un’osservazione che è un’osservazione tipica del mondo fino ad oggi, o quasi. E cioè che la cultura da sempre è stato appannaggio maschile.

La cultura di per sé non ha sesso. Però, siccome i riferimenti, i maestri a cui si guarda, siano essi nel campo letterario, musicale, pittorico, artistico, sono degli uomini, allora qual è la riflessione? O le donne non sono capaci, oppure c’è stato qualcosa, qualche meccanismo che ha impedito loro di raggiungere certi traguardi. Ora diciamo che in realtà la donna ha un impedimento e indubbiamente c’è. Ed è la maternità. La maternità è un fatto talmente condizionante nella vita di una donna, da diventare prioritario rispetto a qualsiasi attività a volte di tipo proprio lavorativo, professionale.
Tuttavia la donna ha le stesse potenzialità dell’uomo con una sensibilità in più che le è data proprio dalla possibilità di essere madre. Metterla al servizio dell’arte vuol dire possibilità di raggiungere gli stessi traguardi ma cercando sempre i propri traguardi senza voler adottare necessariamente quelli maschili.
‘embrioni’, con la loro morbida gamma cromatica, con quel cedere e non cedere al riconoscimento del soggetto esplicitano una ricerca personale per un traguardo autonomo che nega il geometrismo ma anche la libertà segnica tout court per una visione che evoca il liquido amniotico e non in termini puramente fisici ma in termini filosofici.
dalla presentazione della mostra “embrioni”
Roma, 1996


Stefania Severi, critico e storico dell’arte, giornalista pubblicista, ha collaborato a varie testate ed ha pubblicato numerosi testi sull’arte e sul tema del femminile. E' stata responsabile dell'attività espositiva della Chiesa degli Artisti di Roma, ha curato numerose mostre d'arte, d'arte sacra contemporanea, anche a carattere internazionale.